RICORDATI CHI SEI

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. redmoon
     
    .

    User deleted


    Capitolo 9 – SEGNALI


    Lo trovai in garage che trafficava concentrato, rigirando tra le mani pezzi della moto. Di spalle alla porta, fece finta di non avermi sentita arrivare, ma vidi la sua schiena contrarsi impercettibilmente e lo sentii trattenere il respiro.

    Alzai gli occhi al cielo a quel gesto e mi suonò così infantile, che mi appoggiai allo stipite della porta, le braccia incrociate, senza sforzarmi troppo di mascherare la mia irritazione crescente…ma cercavo rogna e rimasi a guardarlo in silenzio, sorprendendomi di quanto la sua pelle tesa sui muscoli poderosi mi sembrasse improvvisamente troppo scura e il suo corpo, esageratamente possente, quasi sgraziato .

    Cominciai a chiedermi cosa fossi realmente venuta a fare, visto che l’idea di sottopormi ad un inevitabile interrogatorio mi era insopportabile quanto quella di tornare a casa e affrontare mio padre.

    Ero lì, ma era come se fossi altrove, nell’unico posto, dove, a quanto pare, non ero poi così gradita. Possibile che fossi venuta da Jake solo per sfogare il mio malumore , sperando che si facesse in quattro per farmi sorridere e convincermi che tutto andava bene e che non avevo niente di preoccuparmi?

    Si, era possibile…anzi, ne ero quasi certa.

    Aspettava che facessi una mossa, che dicessi una parola e le sue grosse mani nervose, continuavano ad armeggiare inconcludenti, sporche di grasso. Provavo una certa malsana soddisfazione ad agitarlo ancora di più, a scaricare su di lui un po’ di quella bile che mi avvelenava le viscere e che ora sembrava farsi meno bruciante.

    “Che c’è…? Ti sei morso la lingua?”

    Strinse appena le spalle e voltò la testa lentamente verso di me, gli occhi stretti in una fessura e le labbra serrate, e per un attimo ingoiai tutta la mia baldanza, chiedendomi se non stessi tirando un po’ troppo la corda.

    “Mi chiedevo lo stesso di te…”, grugnì, pulendosi le mani con uno straccio lurido di grasso e alzandosi in piedi, sovrastandomi completamente.

    “E’ la giornata del terzo grado? Che c’è…? Vi siete messi d’accordo?..te…mio padre…”, azzardai con un tono sfrontato che non riuscii a trattenere.

    “Forse avremmo bisogno di qualche risposta….o per te è tutto normale? Ti sembra così strano dopo quello che è successo?”, disse tra i denti e il tono della sua voce tradì frustrazione, rabbia e impazienza.

    Si teneva a distanza, incerto, studiando il mio viso, gli occhi saldi nei miei e quello sguardo indagatore, timoroso e cupo, m’infastidì, quasi temessi potesse leggermi nel pensiero. Sporsi il mento in avanti e mantenni il mio sguardo fisso nel suo.

    “E cosa è successo, di grazia? Che mi sono fatta una passeggiata nel bosco da sola, senza guardie del corpo, sfuggendo la vostra insopportabile protezione? …Jake, io sono stufa di essere di essere scortata ovunque, stufa di essere trattata come una bambina…non sono più una bambina, guardami!!!”, dissi, allargando le braccia.

    “Si…me ne sono accorto…”, masticò tra i denti e un lampo di sofferenza attraversò i suoi occhi scuri e disegnò una smorfia sul suo viso, “…e allora”, riprese con tono alterato, “… visto che sei una donna, ormai, e vuoi essere trattata come tale, smettila di raccontare balle e di fare uscite teatrali, senza poi avere il coraggio di dare uno straccio di spiegazione!!! Gli hai fatto quasi venire un infarto a tuo padre…se solo questo fosse possibile…”

    “Mio padre si preoccupa troppo per me…mi soffoca”, sbuffai, “…e si mette in testa idee assurde….”

    “Oh, si…idee assurde…e immagino che non valga la pena parlarne, visto che sono assurde, giusto? Santo cielo, Nessie! Che sei venuta a fare…? …a prendermi in giro?”

    Mi chiesi per un attimo se ci fosse anche questa terza possibilità…no, non ero dell’umore adatto per prendere in giro nessuno…neanche me stessa. Forse, invece, era proprio quello che mi ci voleva per riportare tutto alla giusta dimensione…perché ora, lo ammetto, non avevo una percezione molto chiara della realtà che stavo vivendo e, nonostante la mia arroganza, avevo una paura folle del mio futuro.

    “Anche tu non ti fidi me?”, chiesi, ammorbidendo il tono della voce e guardandolo tra le ciglia lunghe e folte, posandogli le mani sulle braccia. Mi sfiorò per un attimo il pensiero che potesse abbracciarmi e un brivido di fastidio inaspettato mi corse lungo la schiena. Rimasi sconcertata da quella sensazione nuova e Jake dovette cogliere quell’attimo di incertezza, perché i suoi occhi mi scrutarono più attenti, vagamente diffidenti. Staccai immediatamente le mani dalle sue braccia, temendo che quel contatto bastasse ad aprirgli la mia mente.

    “Mi sono sempre fidato di te…non mi hai mai dato motivo di credere il contrario…ma il tuo ostinato silenzio non mi rende le cose facili. E, Nessie…hai idea di quello che potrebbe significare se tu ci nascondessi una cosa del genere? Ti sei dimenticata per che cosa sono nato e del patto che lega me alla tua famiglia, e me a te?”

    Abbassai gli occhi…si, me ne rendevo perfettamente conto e non sapevo come uscirne.

    Sentivo che niente era ancora perduto, che mi trovavo ancora nella possibilità di scegliere, ma era come se mi rifiutassi di contrastare quella corrente che mi sospingeva, blandendomi e seducendomi, lontano da loro.

    Allontanavo deliberatamente dalla mia mente tutto ciò in cui, specchiandomi, avrei visto riflessa l’immagine del mostro che potevo essere e sceglievo di abbandonarmi a fantasie molto più allettanti, che mi facevano fremere d’eccitazione e di curiosità.

    “Voi siete completamente pazzi! E io non dovrei neanche starvi a sentire…ecco, vengo qui a parlare con te, per fare pace e tu mi aggredisci con i tuoi sospetti e le tue paternali!...avrei fatto meglio a non venire!” esplosi, scostandolo da me.

    Respirai a fondo, sollevata da quell’immediata distanza, come se il suo contatto mi soffocasse, come se quel garage fosse diventato improvvisamente troppo stretto e caldo per tutti e due e mi mancasse l’aria, quasi non riuscissi a respirare.

    “Ma si può sapere che diamine ti prende?...non ti riconosco più!”, ringhiò, afferrandomi per i polsi, “…e guardami in faccia quando ti parlo!” urlò, tirandomi di nuovo verso di sé.

    Feci resistenza e cercai di divincolarmi da quella stretta, lanciandogli un’occhiata furiosa, le labbra serrate per non esplodere in una serie di insulti impronunciabili.

    “Lasciami!”, sibilai, furente. Rimase un attimo impietrito, quasi incredulo. Guardò le sue mani che mi stringevano in una morsa, quasi fossero le mani di un altro e non le conoscesse affatto, poi guardò le mie, che si torcevano per liberarsi e sembrò calmarsi.

    No…non era calmo…fissava i miei polsi in silenzio, allentando gradualmente la stretta, rilassando i muscoli, il respiro trattenuto in gola.

    “Ti sei tolta il braccialetto…”, bisbigliò.

    Riuscii a malapena a sentire le sue parole e non capii a cosa si riferisse. Poi seguii il suo sguardo e vidi il mio polso nudo. Portavo quel bracciale da quando ero nata e non me l’ero mai tolto. Era il simbolo della nostra appartenenza, del nostro legame che avevo sempre creduto indissolubile, ma solo ora, che non l’avevo più, mi resi conto del significato profondo che aveva per lui.

    Spalancai la bocca, sorpresa quanto lui e liberai le mani, fissando muta il mio polso e di nuovo i suoi occhi.

    “Non…non me lo sono tolto…”, balbettai, inquieta, “io non so…non so che fine abbia fatto…”

    Ero sincera, ma un inquietudine crescente cominciò a contrarmi lo stomaco e i miei occhi si nascosero dietro le ciglia, le palpebre che sbattevano incontrollate, una sensazione di disagio che m’impediva di parlare.

    “Devo…devo averlo perso…”, farfugliai, mentre combattevo quell’irritante senso di colpa – ecco cos’era che mi devastava lo stomaco …- che mi spingeva quasi a scusarmi, come fossi responsabile di quello smarrimento, come avessi voluto perdere quel dannato bracciale volontariamente.

    E ora, quella figura davanti a me, del cui amore mi ero beata finora, delle cui carezze mi ero nutrita, dalla cui dolcezza mi ero fatta cullare docilmente, chiedeva per la prima volta un segno, una conferma e mi appariva così fragile e disorientato, così bisognoso di una manifestazione del mio amore e così dipendente da me, che fui assalita dal panico per quella responsabilità indesiderata e ingombrante.

    Lo guardavo come se quasi non lo conoscessi e il suo sguardo mi appariva melenso e non più dolce, le sue attenzioni intollerabili e vedevo quel mio ineluttabile appartenergli come una prigione dalla quale smaniavo per liberarmi.

    E in quel volto vidi tutto quello che già conoscevo… che conoscevo ormai troppo bene, che aveva il sapore piatto dell’abitudine e aveva perso l’alone intrigante del mistero. Sentivo che quella molle consuetudine non mi bastava più, che quel sorriso non riusciva più a sciogliermi il cuore e che i suoi stessi soliti gesti erano così prevedibili, così scontati, da infastidirmi.

    Capii, al suo avvicinarsi, che ciò che avrei fatto spensieratamente fino a pochi giorni fa, ciò che il cuore mi avrebbe dettato spontaneamente, sarebbe stato nient’altro che una patetica e dolorosa pantomima…ed ebbi paura.

    Guardai di nuovo il polso e mi convinsi che altro non poteva essere che un segno del destino e il viso quasi spettrale di quel vampiro sconosciuto cominciò a sovrapporsi prepotentemente al suo, rendendolo evanescente e lontano, sempre più lontano dai miei desideri e dai miei bisogni.

    “Stai tremando…”, disse, di nuovo protettivo , “…non fa niente…non preoccuparti…te ne regalo un altro…”, disse, prendendomi le mani tra le sue. Le mie erano talmente inerti e desiderose di sottrarsi, che ebbi la sensazione che cercassero di restringersi, di farsi ancora più minute per scivolare via , non viste.

    Un sorriso sul volto, che solo il suo desiderio poteva interpretare come tale, perché in realtà era una piega amara di chi non riesce a sottrarsi ad una circostanza imbarazzante, ebbi la sensazione che qualcosa mi tendesse all’indietro, tirandomi per i capelli e m’impedisse di accorciare le distanze.

    Tremavo, è vero…tremavo perché avevo il terrore che stesse per avvicinare il suo viso al mio e temevo potesse leggere nei miei occhi quanto quel contatto mi fosse intollerabile.

    “C’è qualcosa che vuoi dirmi?”, disse, piegando leggermente la testa di lato e carezzandomi il viso dolcemente. Avrei potuto dirgli che la sua mano era troppo grande, troppo scura e che le sue dita avevano la colpa di non essere lunghe e sottili come quelle di un pianista…. queste erano le parole che mi salivano alle labbra…gratuitamente crudeli, eppure spontanee, vere, ma fortunatamente le trattenni…

    Lo guardai e non dissi una parola e interpretò il mio silenzio e il mio sguardo sofferente come una resa, come una muta dichiarazione di pace. La guancia mi bruciava sotto il suo tocco delicato, così incredibilmente delicato per il suo fisico imponente. Era capace di una dolcezza infinita, di una dedizione totale, ma invece di confortarmi, tutto questo mi distruggeva ancora di più.

    Non volevo fargli del male, ma sapevo che, per quanto potessi rimandare, non riuscivo a stargli vicino e se avessi lasciato i miei piedi correre dove avessero voluto, invece di tenerli piantati lì, la schiena ancora contratta contro lo stipite, mi avrebbero trascinata di nuovo verso il bosco, alla ricerca di qualcuno che forse, a quest’ora faceva a pezzi un umano, senza ricordare neanche il mio volto.

    “Jacob!”

    Mai ero stata così felice di sentire la voce di mio padre. Jacob era visibilmente seccato di questa visita, non ci voleva molto a capirlo. Il suo sguardo si fece più opaco e brontolò un saluto appena educato.

    Uscii fuori sollevata, sciogliendomi da quell’abbraccio e respirando finalmente a pieni polmoni, liberandoli da quel suo odore noto e pungente,che sapeva di terra, di sole e di selvatico e che avevo cercato in tutti i modi di non inspirare.

    Non che avessi molto di cui esultare di fronte a mio padre, ma, per quanto potesse sembrare assurdo, era meglio affrontarli insieme, che separatamente.

    “Ciao Edward…”, disse Jake, cupo, lo sguardo basso e i piedi che spianavano distrattamente la terra, disegnando un piccolo spiazzo liscio davanti a sé. Le questioni tra me e Jake mettevano in imbarazzo entrambi e, mentre Jake si sforzava di confondere i propri pensieri per renderli incomprensibili a mio padre, lui si concentrava per escluderli del tutto dalla sua mente.

    “Ciao, tesoro…”, disse sorprendendomi, scansando una ciocca di capelli dal mio viso, per guardarmi negli occhi e sorridendomi luminosamente.

    Lo guardai incerta e risposi timidamente a quel sorriso, non sapendo cosa aspettarmi.

    “Sono contento di avervi trovato insieme…dobbiamo parlare...”.

    Sentii di nuovo lo stomaco in subbuglio…non doveva chiedere, ma parlare….che avesse scoperto qualcosa?

    “Sono giunto ad una conclusione…”, disse, aggrottando la fronte, come a raccogliere i pensieri, nel suo abituale modo un po’ sofferto, un po’ troppo serio che conoscevo fin troppo bene.

    “Nessie…per quanto debba ancora trovare la spiegazione ad alcune cose…”, e nel dire questo il suo sguardo mi trafisse come una lama, “…credo di essere stato troppo precipitoso nel sospettare una tua responsabilità negli ultimi fatti.” Poi, rivolto a Jake, “immagino che tu sia al corrente che è stato trovato un corpo nel bosco, stamattina…”

    Jake annuì chinando la testa e sbuffando appena, come se quella faccenda, per quanto seria e grave, gli togliesse tempo per risolvere la questione tra noi due, che gli premeva molto di più.

    “Ecco…il fatto che Alice non riuscisse a vedere niente e che le vostre ronde non avessero dato risultato, mi avevano portato a pensare che….”, si morse il labbro e non riuscì a dirlo …io, nella mia arroganza, glielo avevo servito su un piatto d’argento, eppure lui non riusciva neanche a trovare le parole per ripeterlo semplicemente.

    “Questo ritrovamento, però , mi ha fatto riflettere…non credo che tu, Nessie, sentendoti oggetto dei miei dubbi, avresti fatto un passo falso come questo…voglio dire…saresti stata più accorta…”, Mi guardò con uno sguardo carico di angoscia, cercando una conferma nei miei occhi.

    Jacob smaniava e vedevo che era ansioso che arrivasse al punto, totalmente ignaro di dove mio padre volesse arrivare. Io cominciavo a intuire e, invece di sentirmi sollevata, cominciai a mordermi il labbro, nervosa, vagando con lo sguardo oltre lui, verso il bosco, incapace di mostrarmi curiosa, come avrei dovuto.

    “Credo che abbiamo visite….”, dichiarò laconico, fissando Jake.

    “Un vampiro?”

    “Si, Jake…non so perché riesca a nascondere così bene la sua scia e la sua presenza, né perché Alice non abbia visioni di lui, ma credo che di esserne sicuro. Ho una mezza idea, devo prendere qualche informazione…ma questo è un dettaglio…il punto è che dobbiamo coglierlo di sorpresa, visto che sembra eludere ogni nostro controllo.”

    Jake rimase in silenzio, elaborando quelle informazioni e lo vidi sollevato.

    Io sezionavo nella mia mente le parole di mio padre, ripassandole ad una ad una e mi concentrai in particolare su quell’enigmatico devo prendere qualche informazione…che m’inquietava più di tutto il resto.

    Non riuscivo a pensare ad altro che a come avrei fatto a rivederlo, ora che avevano intuito la sua presenza e avrebbero intensificato le ricerche. Non temevo per lui…il suo potere lo avrebbe tenuto alla larga da loro, ma temevo che lo avrebbe tenuto anche alla larga da me e sicuramente la mia libertà di movimento sarebbe stata ulteriormente limitata.

    “Nessie…devo chiederti di nuovo di non andare in giro da sola…potrebbe essere un nomade e allontanarsi presto, ma potrebbe anche avere altre intenzioni…non possiamo rischiare….”, disse, “tu non hai visto niente di anomalo nel bosco, sentito una scia, trovato una traccia…qualcosa che possa averti fatto pensare alla presenza di un vampiro?”

    , pensai, mentre la mia testa negava decisamente, ho visto uno splendido vampiro, così bello che non riuscirei neanche a descriverlo. Più bello di te, papà, più bello di qualsiasi uomo io abbia mai visto. Guardai Jake di sfuggita e mi accorsi che i suoi occhi mi scrutavano con un espressione curiosa, perplessa.

    “Un'altra cosa…credo che quello strano odore, Jake, quel profumo intenso abbia a che vedere in qualche modo con lui…”, concluse e fortunatamente ad entrambi sfuggì il mio sussulto.

    Devo andare, pensai, devo avvertirlo, devo vederlo…e cominciai a pensare inutilmente a cosa mi sarei potuta inventare per allontanarmi subito da lì senza destare sospetti. La questione con Jake era solo rimandata e se mi fossi allontanata, Jake mi avrebbe sicuramente accompagnata…ma forse dovevano ancora parlare e giocai la mia ultima carta.

    “Mamma è a casa?”, dissi apparentemente tranquilla.

    “Si…è rimasta lì in caso tu fossi tornata …”, disse mio padre, storcendo appena la bocca.

    “Allora la raggiungo, devo chiederle scusa…”, mentii, sperando che la mia motivazione bastasse a togliermeli dai piedi entrambi.

    “Vengo con te, Nessie, non ho altro da dire a Jake. Jake, tu parlane con Sam, intanto…organizzatevi. Io ne parlerò anche con la mia famiglia. Cerchiamo di risolvere la faccenda prima che diventi un problema più serio…”

    Trattenni a stento un gesto di stizza e annui appena, i denti talmente serrati che per un attimo temetti che la mascella mi si sarebbe staccata.

    Feci appena un cenno con la testa a Jake e mi avviai verso casa, a fianco di mio padre.

    Credo che dopo il frastuono che sentimmo, fatti pochi passi, della moto di Jake fosse rimasto ben poco da riparare.
    Mio padre si voltò appena a guardarmi, ma il mio viso era impassibile, come se non avessi sentito niente.
    Se lui e mia madre fossero stati impegnati stanotte, il che era abbastanza probabile, non sarebbe stato difficile uscire indisturbata.

    Sorrisi al pensiero.

     
    .
  2. •°o.O Cy_Pattinson O.o°•
     
    .

    User deleted


    Ma povero Jakeeeeeeeeee!! Mi fa un sacco tenerezza... *.*
    e questo vampiro comincia a darmi un pò sui nervi.. V.V
    Aggiorna presto
    bacioni!!!
     
    .
  3. redmoon
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (•°o.O Cy_Pattinson O.o°• @ 8/11/2010, 22:33) 
    Ma povero Jakeeeeeeeeee!! Mi fa un sacco tenerezza... *.*
    e questo vampiro comincia a darmi un pò sui nervi.. V.V
    Aggiorna presto
    bacioni!!!

    fidati.....dicevano tutte così....
     
    .
  4. redmoon
     
    .

    User deleted


    Capitolo 10 – RITROVARSI


    E da lontano la scorsi.

    Nella luce obliqua di quei raggi pomeridiani, il suo viso malinconico era soffuso di un pallore dorato, i suoi lineamenti delicati sfumavano contro il verde lucente della radura e sedeva composta, le mani in mano, come se, senza di me, perdersi nei propri pensieri fosse l’unica cosa che avesse un senso , come se, intorno a lei, tutto fosse sospeso in attesa del mio ritorno.

    E rimasi dolorosamente stupito di quanto la mia angoscia avesse potuto offuscare i miei occhi in questi giorni, tanto da rendermi l’immagine di quel viso quasi un’immagine qualunque, come potessi mai abituarmi ad averla accanto senza sorprendermi ogni volta.

    Renesmee aveva marciato spedita tutto il tragitto, sempre un passo avanti a me, eludendo, forse, sgradite domande su lei e Jacob. Mi ero guardato bene dal chiederle niente…era più forte di me, tolleravo quel rapporto perché lo consideravo ineluttabile e perché aveva distolto Jacob dall’amore ossessivo per Bella, ma ne stavo alla larga il più possibile e non nascondevo a me stesso, e credo neanche a chi mi conosceva bene, una punta di inevitabile gelosia.

    Sul fatto che avessero discusso, non avevo dubbi ma, guardando il suo viso imbronciato e la linea serrata delle sue labbra, la vidi più irritata e smaniosa che dispiaciuta e mi chiesi se quell’incrinatura che si era creata fra loro potesse trasformasi in una spaccatura profonda e definitiva e se fosse l’unica causa del suo umore impenetrabile …

    Mi tenevo cautamente a distanza, ma ora che ero più sereno e meno ottenebrato dall’ansia, ero in grado di cogliere ogni sfumatura e di accostarla ai colori più forti, nella speranza di avere una visione il più possibile vicina all’originale.

    Ero stato dolce e apparentemente arrendevole con Renesmee… non volevo che si sentisse osservata, ma avevo tutte le intenzioni di tenerla d’occhio, nell’attesa che un passo falso mi rivelasse qualcosa di più.

    Sapevo che troppe cose mi erano ancora oscure.

    Un sorriso luminoso accese il viso di Bella e ci venne incontro lentamente, come se, alla mia vista, l’attesa fosse stata dimenticata e preferisse guardarmi ancora un po’, mentre andavo verso di lei, per gustarsi appieno il momento in cui l’avrei stretta di nuovo tra le braccia.

    “Scusami…”, mormorai, affondando il viso tra i suoi capelli profumati e l’aroma della sua pelle mi bruciò nel petto come così intensamente, come un profumo quasi dimenticato e finalmente riassaporato, che lo trattenni a lungo, gli occhi chiusi, perché sciogliesse ogni mia tensione e m’invadesse di lei.

    “Di cosa…?”, sussurrò.

    “Di averti lasciata sola…”

    “Tu non…”, ma non finì la frase, perché nei miei occhi lesse a cosa mi riferivo.

    “Mmmmm…non lo so se basterà….”, ridacchiò, “ ti salvi perché punire te significa punire anche me….”

    “Ciao, mamma…”, disse Renesmee, imponendo seccata la sua presenza.

    “Tesoro…”, disse Bella sorridendole e posandole una carezza fresca sul viso accaldato.

    “Volevo chiederti scusa…”, disse, senza troppa convinzione ed ebbi la sensazione che lo dicesse quasi controvoglia, come per togliersi di torno uno dei tanti pensieri che turbavano la sua mente inquieta, ostinatamente chiusa ad ogni intrusione esterna, ma mi sforzai di attribuirlo al suo umore che, certamente non era dei migliori.

    “Sono scappata via così…senza dire una parola…ma ero sconvolta…sono andata da Jake…”

    “Non fa niente…”, le rispose Bella, “ora sei qui….ma ti prego, non farlo ancora…non andare sola, almeno finché non saremo riusciti a capire…”

    “Si…ok…”,rispose troppo rapidamente, scostandosi impercettibilmente dalla sua carezza, come non vedesse l’ora di rimanere sola.

    “Vado a farmi una doccia, non sopporto più questo caldo ed è stata una giornata lunga…”, disse sospirando.

    “Nessie…”, la trattenni per un braccio, “Viene Jacob più tardi?”

    “Jacob?”, chiese, come se non riuscisse ad attribuire un volto a quel nome, “Non credo proprio…”, sbuffò alzando le spalle, “penso che me ne andrò a letto molto presto, stasera…sono stanca morta e voglio dormire come un sasso fino a domattina….”, tagliò corto, sfuggendo il mio sguardo.

    “Mmm…sembra che stasera non gradisca la nostra compagnia….che è successo? Ha litigato con Jake?”, chiese Bella, seguendola con gli occhi mentre entrava in casa.

    “Non tirava una bell’aria quando sono arrivato lì…”, soppesai, “ma lo sai…evito di frugare nella mente di Jacob quando posso, anche perché la sua espressione era tutto un programma…non lo invidio…Nessie, quando vuole, sa essere molto indisponente e scostante…”

    “Si…mi ricorda qualcuno…”

    “Vi somigliate molto in effetti…”, sogghignai, passando il dorso della mano sulla sua guancia liscia, illuminata dagli ultimi raggi rossastri del sole, riportandomi alla mente che il suo colorito umano, quando avvampava violentemente al tocco della mia mano.

    La sentii rabbrividire sotto quella carezza e le sua mani si posarono timide sul mio petto, la punta delle dita che scorreva sulle pieghe della mia camicia, lo sguardo che indugiava lungo la linea del mio collo, immaginando un percorso noto che le provocò un leggero affanno.

    Credo non ascoltasse neanche le mie parole. Indugiava, deliziata da quell’attesa, che le mie mani scivolassero lungo le sue spalle, giù fino alla vita sottile e risalissero lungo la schiena, tra la sua pelle e la sua maglietta, sfiorandola appena come un brivido, come quell’aria tiepida e molle della sera che ci avvolgeva, creando tra noi e tutto ciò che ci circondava uno spessore impalpabile che ci lasciava sospesi in un nulla dolcissimo e disarmante.

    E mentre con le dita carezzavo quell’incavo morbido tra le sue scapole, come fosse la valle ombrosa in cui volevo perdermi, l’altra mano si fermò più decisa appena sotto la vita, scendendo poi a cogliere quella leggera curva che mi riempiva il palmo che, premendo appena, ma deciso, l’accompagnò contro di me, dolcemente, insistentemente, trovandola docile, inerme.

    I denti bianchissimi e perfetti trattenevano tra le labbra socchiuse il suo respiro indocile e inarcò appena la schiena, come a trattenere ancora un istante quel desiderio imperioso di aderire perfettamente a me e, quando , come aspettava impaziente, la spinsi più decisamente, il suo ventre si adagiò esitante e aggressivo insieme, contro la mia eccitazione crescente e le sue mani scivolarono decise ad afferrare i miei fianchi, trattenendomi contro di sé.

    Il desiderio era tale che sarebbe bastato quel contatto così intenso a farmi raggiungere le vette di un piacere che un umano avrebbe sognato tutta la vita senza riuscire neanche ad immaginare, ma trattenni quella sensazione travolgente e la mia mano s’insinuò tra la sua pelle fresca e la stoffa impalpabile di quei calzoncini inesistenti, che cedettero volentieri alla mia intrusione, regalandomi l’emozione impareggiabile di quella pelle liscia e tesa dei suoi glutei sodi, nati sicuramente dal calco della mia mano.

    Il sole si nascose, discreto e imbarazzato, dietro gli alberi e anche quella brezza leggera e tiepida della sera scivolò altrove, forse sul mare o comunque lontano da noi, silenziosa e complice.
    Le fronde sembrarono quasi curvarsi protettive su di noi, quasi a difendere quel momento così intimo, così perfetto e l’erba sembrò farsi più soffice e morbida sotto i nostri piedi malfermi, come un invito tacito e gentile.

    No, non ero pronto per adagiarmi su quel tappeto invitante… non volevo dividerla neanche con quell’erba odorosa che avrebbe rubato un po’ del suo profumo, coprendolo con il suo. Volevo prolungare quell’istante all’infinito e le mie mani, guidate dal mio desiderio, si muovevano lente e sapienti, come sapessero, senza alcun aiuto, muoversi su di lei come conoscessero ogni angolo del suo corpo, ma volessero scoprirlo di nuovo, ancora, ogni volta come fosse la prima.

    Scesi lungo quelle curve morbide, come le mie dita seguissero un richiamo irresistibile, una scia calda e umida che sembrava gridare nell’attesa. Sentii quasi le gambe cedermi quando il mio tocco leggero incontrò il suo desiderio pulsante e le mie dita si fecero più insistenti, meno delicate, facendosi strada dentro di lei, che si aggrappò alle mie spalle, il respiro sospeso, cercando di non perdere quel contatto, anzi assecondandolo . E più sembrava non poter fare a meno di quella carezza insistente e smaniosa, più premeva contro di me, quasi volesse fondere insieme quelle due sensazioni irrinunciabili, come temesse che, abbandonandone una , l’altra potesse perdere d’intensità.

    Le narici dilatate a inspirare l’aroma caldo e salato che saliva dal suo ventre incandescente, la sollevai tra le braccia, tacitando il suo gemito strozzato con le labbra sulle sue, la lingua che esplorava la sua bocca come a sostituire quell’attimo di abbandono, scavando dentro di lei, come fossi io stesso e come fosse ancora la mia mano e, anche se non bastava, mi lasciò fare, totalmente succube e padrona del mio piacere, incapace di opporre resistenza e al tempo stesso suggerendo ogni mia mossa, abbandonandosi completamente e sperando di sopravvivere nell’attesa di quella promessa.

    Mi augurai che Renesmee dormisse di un sonno profondo, perché questa notte non ero padre, non ero figlio e forse non ero neanche Edward…ero l’anima e il corpo di Bella e non avevo alcun controllo sull’emozione profonda che escludeva tutto ciò che non era lei dalla mia mente.

    L’adagiai dolcemente sul letto. La radura sembrava aver ripreso vita con un sospiro di sollievo e ci regalò una brezza tiepida che attraverso la finestra spalancata si posava lieve su di noi come una melodia di sottofondo, come a renderci quella notte ancora più speciale, quasi meritassimo una notte assolutamente perfetta.

    Gli occhi chiusi e il viso contratto in una smorfia dolorosa per l’assenza di un contatto smarrito anche solo per un attimo, non staccavo gli occhi da lei, mentre indugiavo a spogliarmi e i miei vestiti sembrarono scivolare a terra da soli, quasi fossero complici di Bella, quasi mossi a compassione dal suo affanno, quasi rimproverassero silenziosamente la mia lentezza.

    Godendo quasi del suo tormento, che era anche il mio, pregustavo di portarla ad un estasi di piacere tale che le avrebbe fatto rimpiangere la mia assenza, tanto sarebbe stato insostenibile. Incapace di aprire gli occhi sul mio corpo nudo ed eccitato, una piccola ruga le solcò la fronte nell’attesa, ma sapevo che percepiva ogni mio movimento, il mio odore che si avvicinava a lei , il mio tocco che ancora non la sfiorava ma che già la faceva tremare.

    E quando la spogliai, come una bambola tra le mie mani, temetti per un attimo che non avesse resistito all’attesa, tanto il respiro le si strozzò in gola.

    “Non ero io che dovevo punirti…?” sussurrò più a se stessa che a me, come un sospiro, un soffio che appena percepii, completamente perso nella contemplazione del suo corpo schiuso ad accogliermi.

    Sfiorai appena le sue labbra, attento a non toccarla e se la sua bocca ebbe un fremito, la sua pelle quasi bruciò dalla delusione.

    E in quello scambio di respiro, le mie parole scivolarono nella sua gola con una sensualità talmente violenta, che vidi il suo collo tendersi verso di me…

    “La tua immaginazione è palpabile…”, sorrisi, continuando a respirare dentro di lei, “dov’è finito il tuo controllo?”

    Le mie mani scivolarono dietro la sua nuca, e la spinsi contro il mio respiro, perso in quell’immagine quasi perversa che la sua mente, libera dallo scudo, mi imponeva violentemente.

    “Non mi distrarre…”, ridacchiai debolmente, “…non c’è niente che tu voglia che io non sappia già…”

    “Potresti rimanere stupito…”, rantolò, tempestandomi di immagini che avrebbero fatto arrossire la peggiore delle anime lussuriose.

    “Ostinata come sempre…”, mi arresi.

    E mentre esaudivo le sue labbra avide di me e della mia linfa, le sue braccia cinsero i miei fianchi contro il suo viso, come temesse che potessi sfuggirle e, il mio viso tra le sue gambe tremanti, sfiorai con le labbra l’interno morbido delle sue cosce, carezzandole come un’arpa, pizzicandole delicatamente con i denti, inspirando a fondo quell’aroma pungente che mi attirava come un canto di sirene.

    Affondai il viso nel suo lago caldo e morbido, sconvolgendone il fondo e nel momento in cui il mio corpo si tese in uno spasimo che sembrò interminabile, il mio grido soffocato echeggiò dentro di lei come un eco profonda ed incontrò il suo piacere intenso, insistente, inarrestabile.

    E il desiderio trattenuto troppo a lungo non ci rese sazi, ma si fece ancora più insistente e non ci fu bisogno di parole, ma solo di gesti, consapevoli, ossessivi, timorosi solo di quegli istanti necessari a cercarsi di nuovo, in altro modo.

    Cercai il suo viso, quella bocca che sapeva di me e l’aprii con le mie labbra che sapevano ancora di lei, desiderando che ogni centimetro della mia pelle potesse possederla in ogni modo contemporaneamente e soffrendo di non poterlo fare.

    Come se il tempo avesse ricominciato a scandire la nostra vita, come se l’eternità non fosse più il nostro orizzonte, o forse solo perché ci eravamo mancati per giorni in modo intollerabile, facemmo strazio e piacere dei nostri corpi, le mani febbrili che carezzavano e a tratti strappavano, le labbra che sfioravano e quasi mordevano, il respiro fresco e affannoso che s’insinuava tra noi, quasi geloso di quel contatto così stretto che non riusciva a violare.

    E riuscì a staccare le sue labbra dalle mie solo quando, in uno scatto istintivo e incontrollabile, inarcò il collo indietro, offrendomi la gola candida, mentre entravo dentro di lei con tutto me stesso, tenendola sollevata per la schiena e stretta contro di me, come potesse mai sottrarsi, come potesse stancarsi e desiderare un po’ di tregua.

    E forse non desiderai mai tregua, quella notte, e lei meno che mai, per non essere preda dei miei pensieri e delle mie preoccupazioni. Come avessi bisogno di svuotare la mia mente per una volta, sapendo che i problemi si sarebbero riaffacciati comunque e avessi solo la possibilità di tenerli per un po’ fuori dalla porta.

    L’alba bussò timida alla nostra finestra, quasi temesse di essere in anticipo, di essere un’intrusa e scivolò azzurrina e rosata sulle lenzuola scomposte e inutili, solleticandoci la pelle con l’ultima folata fresca della notte, come per regalarci l’ultimo piacere, prima del caldo torrido della giornata.

    Passai il braccio sotto il collo di Bella, i capelli scomposti ancora confusi tra i suoi, il suo seno che si sollevava tranquillo contro il mio petto e la sua gamba stesa su di me, come a mantenere un contatto, quasi ad essere pronta e vigile a stimolare di nuovo la mia eccitazione, con un solo fremito della sua coscia, se solo non avesse resistito, ancora una volta, al richiamo costante del suo desiderio.

    Non mi sarei sottratto… anzi, il solo pensiero scatenò una corrente che mi tese come un elastico e m’impedì di nascondere quella che era tardi per definire un’idea passeggera.

    Rimasi impassibile, sorridendo muto, già sapendo che non si sarebbe fatta sfuggire l’occasione. Ostentai un’indifferenza da attore consumato e ignorai deliberatamente il fatto che la sua gamba, posata con disinvoltura di traverso su di me, si fosse sollevata più che impercettibilmente e suo malgrado.

    “ L’alba è un momento ideale…”, ridacchiò.

    “Non ho preferenze…”, obiettai.

    “Mmmmm…potrebbe svegliarsi Renesmee…”, disse, fingendo una preoccupazione che era lontana miglia e miglia dal provare.

    “Giusto…anche se dubito che si tufferebbe nel nostro letto a sorpresa come una volta…”

    Non era una conversazione, era un preludio, una recita a nostro beneficio, un gioco. In realtà non eravamo ancora pronti a rivestirci dei panni del nostro ruolo…avevamo diciassette anni, in fondo…anno più anno meno….e nostra figlia forse, cominciava a saperne qualcosa di queste smanie…

    Feci una smorfia e chiusi per un attimo la mente a questo pensiero intollerabile.

    Ci avrei pensato più tardi…dopo aver pensato a molte altre cose più urgenti, più pressanti… ed egoisticamente pensai che il suo contrasto con Jacob mi avrebbe concesso un altro po’ di tempo, forse…

    Presi un respiro profondo e, voltandomi su un fianco la ruotai dolcemente, attirando la sua schiena contro il mio petto e affondando il viso tra i suoi capelli.

    Un movimento impercettibile dei suoi fianchi, tanto lieve quanto inconfondibile, fu un richiamo al quale non seppi resistere e mi persi di nuovo dentro di lei, cancellando ogni pensiero molesto.

    Avevo tutta l’eternità per lasciarmi tormentare dalle mie ansie ma ora, in questo preciso momento, decisi che non c’era alcuna fretta.

     
    .
  5. ~ * ~ [ BrEaTh Of YoU ] ~ * ~
     
    .

    User deleted


    Senza Parole

    Magnifica!
     
    .
  6. redmoon
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (~ * ~ [ BrEaTh Of YoU ] ~ * ~ @ 12/11/2010, 05:32) 
    Senza Parole

    Magnifica!

    grazie :wub: :wub: ...devo dire che questo è l'unico lato che la Meyer ha trascurato...credo non immaginasse che avrebbe avuto anche un pubblico più "adulto"..... ;) ;)
     
    .
  7. ~ * ~ [ BrEaTh Of YoU ] ~ * ~
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (redmoon @ 12/11/2010, 06:33) 
    grazie :wub: :wub: ...devo dire che questo è l'unico lato che la Meyer ha trascurato...credo non immaginasse che avrebbe avuto anche un pubblico più "adulto"..... ;) ;)

    Di nulla cara! ;)

    Eh già...xò chissà, se mai dovesse continuare la saga *-*,
    dovrà tenere conto di questo lato dei nostri protagonisti...

    Cmq tu sei bravissima...descrivi in modo molto poetico e coinvolgene! :wub:

    Brava! image
     
    .
  8. redmoon
     
    .

    User deleted


    Capitolo 11 – NELLA NOTTE


    In un dormiveglia inquieto, il battito potente e irregolare del mio cuore mi pulsava nelle orecchie così forte, da coprire qualsiasi altro rumore. Mi concentravo, respirando a fondo, nel vano tentativo di rallentare quel pulsare frenetico , temendo che dall’altra stanza potessero udirlo.

    Il mio cuore pompava sangue con una spinta talmente poderosa, da farmi male. Sentivo le membra indolenzite e roventi e quasi intorpidite da quel flusso robusto e accelerato. Rimanevo immobile, fissando la faccia piena di quella luna pallida e gigantesca, che sembrava fissarmi con muto rimprovero, quasi a dissuadermi.

    Mi chiesi se la natura mi sarebbe stata complice, se sarebbe stata molle e muta sotto il mio passo leggero, se avrebbe sprigionato i suoi aromi notturni ancora più intensamente, o se il grido di un uccello spaventato o il crepitìo di una foglia sotto i miei piedi avrebbero tradito la mia fuga silenziosa.

    Mia madre sarebbe stata la mia complice inconsapevole…ero sicura che avrebbe abbassato ogni sua difesa quella sera, che avrebbe fatto scivolare il suo scudo lontano dai loro abbracci e invaso la mente di mio padre fino a renderlo totalmente innocuo…

    Avrei dovuto solo fare attenzione e scivolare silenziosa nel buio, ma l’inquietudine che lui potesse comunque scoprirmi rimaneva latente e non so dire se a farmi tremare dalla testa ai piedi fosse quel timore, o il pulsare selvaggio del mio sangue bollente.

    Per un attimo tutta la mia determinazione sembrò liquefarsi e sospirai quasi di sollievo per quell’immobilità alla quale non avevo la forza di oppormi, ma poi il volto bellissimo e severo di mio padre si dissolse, scomponendosi e ricomponendosi nei tratti evanescenti e sfuggenti di un volto quasi sconosciuto e ancor più bello, di occhi purpurei che mi fissavano muti e inquieti e una nuova ondata di calore cancellò quella paura e ogni mia esitazione.

    Come un fantasma, nella larga camicia bianca che mi copriva appena le cosce, mi misi a sedere sul bordo del letto, le mani come artigli sulle lenzuola e, la testa china e gli occhi chiusi, presi un respiro profondo e mi avvicinai alla finestra aperta. Il pavimento era tiepido sotto i miei piedi nudi e pensai che l’erba umida e fresca della notte sarebbe stata un sollievo per il mio corpo accaldato. Allargai le braccia contro la cornice della finestra e spiccai un balzo leggero, atterrando con leggerezza sul prato.

    Sinuosa come un serpente tra l’erba, strisciai sotto la loro finestra, fermandomi appena, il respiro trattenuto nel petto, i sensi tesi a cogliere i loro sospiri. Ero lontana dai loro pensieri…si, decisamente molto lontana…

    Mi avvolsi nel manto di quell’oscurità densa e fresca e scivolai tra gli alberi, senza una meta precisa. Avevo la sensazione di dovermi far largo tra una natura più aggrovigliata e impenetrabile del solito, come se i rami volessero trattenermi e le larghe foglie palmate dissuadermi, coprendomi gli occhi con la loro larga superficie liscia e bagnata che mi imperlava il viso di piccole gocce.

    Scostavo nervosa le foglie e i capelli che mi ricadevano insistenti sugli occhi e in quel silenzio, rotto solo da piccoli fruscii e versi gutturali di animali notturni disturbati dalla mia intrusione, avanzavo decisa, lo sguardo che tagliava il buio, lacerato appena da frammenti di luce lunare che occhieggiavano tra le cime degli alberi .

    Non erano spine a pungermi, ma miniscoli spilli di adrenalina che mi facevano scattare e rendevano i sensi ancora più acuti e vigili. Ora sentivo il fiume lambire i ciottoli della riva con la sua carezza sensuale, avvolgendoli e poi ritraendosi, lasciandoli umidi e ancora assetati e scivolando lontano da loro verso il mare, verso altre rocce e altre rive.

    Immersi i piedi e rabbrividii di piacere quando l’acqua fresca mi avvolse dolcemente le caviglie e, chinandomi a raccoglierla nel palmo delle mani, me la passai come un velo sul viso e sulle braccia nude. La superficie luccicava di mille stelle argentee che si accendevano e si spegnevano, seguendo il respiro del fiume e quei bagliori rilucevano appena sulla mia pelle liscia e bagnata, quasi a sembrare una sirena.

    Strinsi le braccia al petto e alzai il viso alla brezza leggera, inspirando a fondo l’odore intenso e acre della terra molle e degli antri nascosti e umidi tra le rocce.

    Poi il suo profumo intenso mi avvolse e sentii il cuore sobbalzare e precipitare in un abisso, lasciandomi ghiacciata, esangue e totalmente inerme.

    Non un rumore, non una parola. Sentivo la pelle friggere nell’attesa di un contatto e non mi voltai, serrando ancora di più le mani contro le braccia, le nocche livide nella morsa.

    Nessuna paura, nessun sollievo. Ero come sospesa a mezz’aria, il suo aroma penetrante che mi cullava, come fossi rannicchiata e sonnolenta in un ventre umido e molle . Chiusi gli occhi e inspirai a fondo, un sorriso appena accennato sul volto rischiarato da quei brandelli di luna pallida e immaginai le sue mani posarsi sulle mie, attirandomi a sé, senza bisogno di parole.

    L’odore acre del fiume mi schiaffeggiò nuovamente, risvegliandomi da quel delizioso torpore e spalancai gli occhi, sconcertata, trattenendo il respiro, mentre un’inquietudine crescente mi spingeva a voltarmi. Mi voltai di scatto, incredula e delusa…era stato tutto frutto della mia immaginazione? Possibile che il mio desiderio fosse così impellente da stravolgere i miei sensi e creare quell’illusione?

    I miei occhi correvano inquieti, frugando fra i cespugli neri e immobili, lungo la linea rugosa dei tronchi e tra i ciuffi scomposti di felci e restavo impietrita, nell’acqua, bersaglio accecante nella mia camicia bianca illuminata dalla luna, come un faro nella notte.

    E poi apparve da quel nero nulla, evanescente come la nebbia mattutina, il viso diafano e luminoso contro il buio profondo, incorniciato dalle onde morbide dei suoi capelli che lo coprivano in parte e non sembravano infastidirlo, gli occhi che apparivano neri come l’oscurità che lo circondava. E non c’era ombra di sorriso in quello sguardo, ma quasi rimprovero e quella solita vena di fastidio che disegnava una linea amara sulle sue labbra piene ed esangui.

    La bocca socchiusa, dalla quale non usciva alcun suono, gli occhi spalancati a quella visione onirica, i miei pensieri guizzavano disordinati ad una velocità tale che non riuscivo a tradurli in parole. Ero terrorizzata all’idea che potesse di nuovo sparire nel buio e mi mordevo le labbra, irritata con me stessa per la mia incapacità di trovare qualcosa da dire per poterlo trattenere.

    Ebbi la sensazione che sue labbra prendessero una piega un po’ ironica, che il suo sguardo affilato avesse il potere di violare la mia mente, mettendo a nudo i miei pensieri più reconditi e abbassai le palpebre a nasconderli.

    Mi sentivo violata e quel pensiero da una parte mi eccitò al punto , che cercai di nuovo il suo sguardo, tremando come una foglia che teme di essere strappata dal vento, ma che non può fare nulla contro quella forza violenta e seducente, rassegnandosi al proprio destino.

    “Perché continui a cercarmi?”, sillabò, scandendo le parole. E il tono della voce naturalmente melodioso non riuscì ad ammorbidire il significato odioso di quelle parole.

    Strinsi le labbra e uscii dall’acqua, maledicendo quella parte di me che gli era grata comunque per aver parlato.

    Mentre mi avvicinavo, i suoi occhi mi squadrarono dalla punta dei piedi nudi e sottili, risalendo lungo le mie gambe snelle, soffermandosi sulla scollatura della mia camicia e sul collo, fino a piantare nuovamente quei due tizzoni – ora, finalmente, riuscivo a vederli ardere, - nei miei occhi inquieti, senza tradire l’ombra di un desiderio.

    Dannazione… pensai agli occhi di Jake, che non riuscivo a far tacere neanche quando guardava altrove…così involontariamente insistenti, così apertamente innamorati e golosi, che sembravano quasi lamentarsi di non potermi cogliermi in una sola immagine, e così innocenti allo stesso tempo, che i suoi, al confronto, sembravano quasi disprezzarmi.

    Mi piantai davanti a lui e sperai invano che quella luna indiscreta, illuminando la mia nuca, rendesse il mio viso infiammato dall’ira meno visibile e che l’odore del mio sangue non tradisse l’odore acre della delusione.

    “Cercarti???”, sibilai e la mia voce suonò come la corda di uno strumento che si spezza all’improvviso, distorcendone il suono.

    “Renesmee…”, m’interruppe, con voce improvvisamente calda e suadente, posando la mano gelida sulla mia guancia e racchiudendola dolcemente nel palmo, “…non dovresti essere qui…”

    Il cuore mi batteva talmente forte, che ebbi la sensazione che fosse cresciuto a tal punto da soffocarmi e da non entrarmi più nel petto. Per un attimo temetti quasi che si sarebbe fatto strada lacerandomi la pelle , liberandomi da quella brace ardente che mi divorava dall’interno.

    Le orecchie mi ronzavano furiosamente, come uno sciame di api impazzite si dibattesse nella mia testa cercando una via di fuga e, quando la sua mano scivolò a prendere la mia e mi attirò dolcemente e in silenzio tra i cespugli, come a nascondersi al pallore di quella luna invadente, lo seguii come un automa, docile come un agnello pronto ad essere sacrificato.

    Il respiro rovente mi bruciava la gola e sentivo la lingua come carta vetrata.

    “Sanno che sei qui…”, balbettai, “…ti daranno la caccia…”, ma la mia voce si smarrì nel respiro affannoso dei miei polmoni serrati, “…il tuo profumo…non è più un mistero…lo seguiranno…ti troveranno”, mi sentii dire, mentre le gambe si facevano molli e mi aggrappavo alla sua mano, temendo di cadere.

    “Il mio profumo…” sorrise, illuminando la notte con i denti bianchissimi e perfetti, “…i miei mille profumi…posso ingannarli come voglio…posso essere acqua stagnante, o rosa delicata, terra bagnata o miele profumato…Renesmee…non sei qui per questo.”

    Il suo viso si allontanò per un istante dal mio, come a guardarmi più chiaramente da lontano e con la punta delle dita, scostò i miei capelli, tirandoli appena indietro e il suo gesto fu così lento e delicato, così serio e accurato, che mi ricordò Alice quando sistemava i fiori nei vasi, disponendoli uno ad uno, alla ricerca della perfezione. Ma Alice lo faceva con gioia.

    La fronte solcata da una piccola ruga assorta, le labbra si allargarono in un sorriso compiaciuto quando ebbe finito la sua opera d’arte e mi contemplò sereno, tenendo il mio viso tra le mani e, gettando la testa all’indietro, ricacciò una ciocca ribelle che ricadeva insistente sulla guancia pallida e liscia.

    Dovevo avere un’espressione completamente inebetita, mentre si trastullava con i miei capelli, come fossi una bambola da acconciare, silenzioso e assorto, come fossi inanimata, come fossi nient’altro che un sogno occasionale da gustare fino al risveglio.

    “Non sei qui per questo…”, ripeté, fissandomi finalmente negli occhi come se, ora che mi aveva sistemata, fossi degna della sua attenzione.

    “Io…”, abbozzai appena. Ma strizzò appena gli occhi, come infastidito da un rumore molesto e, posandomi il dito sulle labbra, “Shhhh…”, sussurrò, facendo scivolare il suo braccio intorno alla mia vita e attirandomi a sé, mentre l’altra mano s’infilava tra i capelli a spingermi il viso contro il suo.

    Avrei voluto chiudere gli occhi e lasciarmi andare a quell’emozione che mi piegava le ginocchia e mi rendeva completamente inerme tra le sue mani, ma non riuscivo a non guardare quel viso meraviglioso che si avvicinava pericolosamente al mio e il pensiero che quelle labbra incantevoli stessero per sfiorare le mie, mi spezzò il respiro, mentre il suo alito fresco ridava vita alla mia bocca arida come un deserto roccioso.

    Quando schiuse le mie labbra con le sue, morbido e deciso, ebbi la sensazione di essere morta e risorta in quel momento e mi abbandonai a quel movimento lento e imperioso, che mi guidava in una danza mai conosciuta in questa vita, eppure stranamente nota, come se ad ogni passo una memoria remota mi suggerisse naturalmente il successivo.

    Sentivo il suo sguardo penetrante su di me…intenso e serio, come non riuscisse ad abbandonarsi completamente, come studiasse ogni mia reazione, quasi a non dovermi deludere, quasi a prevenire ogni mio desiderio.

    Io ero in paradiso, nel frattempo, e quando ebbi contemplato ogni millimetro del suo viso e ne fui sazia, con impercettibili, minimi gesti, gli occhi finalmente chiusi, cominciai a suggerirgli il percorso di quelle mani delicate e sottili, di quelle dita lunghe e affusolate, sfuggendo a quel contatto gelido sulla mia vita, sollevandomi in punta di piedi perché la sua mano scegliesse di insinuarsi sotto la mia camicia e carezzasse la mia schiena infuocata.

    Erano un tale ristoro quelle labbra gelide e lisce, che provai a morderle, piano, come fossero un frutto delizioso e quell’aroma pungente e esotico sembrò sprigionarsi ancora di più al pizzico dei miei denti.

    Avevo un certo timore a prendere l’iniziativa…il suo silenzio concentrato, i suoi gesti sapienti e decisi m’imponevano tacitamente una remissività che ero ben lontana dal provare, ma, nonostante lo tenessi avvinghiato a me, continuavo a sentire quella sottile riluttanza, quella studiata distanza che m’impediva di rischiare, per timore di vederlo svanire ancora una volta.

    Le mie mani s’infilarono timidamente tra i suoi capelli morbidi come seta e là dove un altro sarebbe andato in estasi, lui sembrò semplicemente lasciarmi fare e questo contatto più intimo mi sciolse, quasi grata che me lo avesse concesso.
    Non ero abituata a chiedere e questo mi seduceva più di qualsiasi adulazione e divenni più insistente, più sfrontata, quasi a sfidare il suo limite…ma mi teneva a bada, continuando a guidarmi solo dove voleva lui…era come se cercasse il mio piacere, senza curarsi del suo, come volesse schiudermi a un mondo sconosciuto senza insegnarmi la strada, come bendandomi e tenendomi per mano.

    E allora mi arresi al suo volere e quando la mia volontà fu ridotta a nient’altro che cenere tra le sue mani, avvicinò le labbra al mio orecchio, sussurrando piano.

    “Cosa conosci di questo mondo…?”

    Non capivo una sola parola …di quale mondo parlava? Di questo, sconosciuto e meraviglioso che mi stava facendo conoscere? Del suo…fatto di sangue ed corpi umani straziati? O del mio, ibrido e ancora oscuro? Che importanza poteva avere?... cercavo solo di recuperare quella distanza, aderendo il più possibile il mio corpo al suo, non più timida, non più timorosa, ma talmente accesa di un desiderio mai provato prima , che mi rifiutavo di capire il significato di quelle parole e anche solo di ascoltarle.

    Le sue mani carezzavano la mia pelle nuda sotto la camicia, ma erano delicate e non smaniose, scivolavano sulla mia pelle leggere, facendola ardere e desiderando che si spingesse dove quella carezza ancora mancava. Concentrata a deviare la sua attenzione proprio in quei punti orfani del suo tocco, mi distrasse nuovamente.

    “Io sono un vampiro…”

    Bella novità, pensai, cercando di nuovo le sue labbra per farlo tacere.

    “Tu…cosa sei…?”, continuò, mormorando dolcemente nel mio orecchio, quasi a volermi blandire, senza smettere di accarezzarmi e baciarmi, “Tu mi hai detto che…fra tua madre e tuo padre non è stato un problema…cosa intendevi…?

    “Prima che io nascessi…”, mi arresi, senza mollare la presa, “…mia madre era un’umana. Pur di avere me, ha rischiato di morire…mio padre l’ha salvata…ora , anche lei, è una vampira…”, dissi, abbassando gli occhi.

    “Quindi tu….”, suggerì calmo, lo sguardo leggermente sorpreso.

    “Quindi io…sono per metà umana…”, sospirai, temendo le sue parole.

    “Questo complica le cose…non credi?”, chiese inclinando la testa da un lato e costringendomi a guardarlo dritto negli occhi. “E’ tutto…così…difficile…”

    “Che importanza può avere…?”, ribattei, cercando di non tradire i timori che mi attraversavano la mente e che ricacciavo indietro per non prenderli neanche in considerazione.

    “Renesmee….”, sorrise scuotendo la testa, percependo il mio disappunto stizzito,

    “…tutto questo ha il sapore di qualcosa che è meglio non assaggiare… non credi?”

    “Non è un tuo problema!”, esplosi. “…non lo è…”, aggiunsi, con tono più basso, quasi angosciato, mentre le mie mani istintivamente si aggrappavano alla sua maglietta per trattenerlo.

    “Tu cosa vuoi per te stessa?”, mi chiese, improvvisamente serio, senza più l’ombra di un sorriso, “…questa è la mia natura…non ho intenzione di cambiarla …”

    “Non m’importa…”, risposi, sfidando il suo sguardo indagatore, lo stomaco stretto in una morsa, terrorizzata che potesse leggere la battaglia dei miei pensieri nella mia mente. Mi stavo cacciando in un grosso guaio e continuavo imperterrita e ostinata a lasciare inascoltata quella voce sempre più flebile che dentro di me mi gridava di scappare, di andarmene senza voltarmi indietro.

    “Hai forse scelto?”, chiese, sfiorando di nuovo le sue labbra lisce contro le mie, scatenandomi una corrente che mi percorse la schiena e si concentrò nel mio ventre con una scarica talmente potente, che dimenticai tutto quello che stavo per dire e i pensieri che l’avevano generato..

    Mi incollai nuovamente al suo corpo, respirando a fondo nel suo petto e , messo da parte ogni pensiero molesto, pensai soltanto che avrei voluto sfilargli quella maglietta e appoggiare la mia guancia accaldata contro la sua pelle fresca per trovare sollievo.

    “Non mi hai risposto…”, bisbigliò, posando le labbra sui miei capelli e stringendomi a sé.

    “Hayden…”

    “Dimmi, Renesmee…”

    “…Devo…devo proprio scegliere?...non può andare bene così?”, supplicai, sentendo che era tutto sbagliato, che non erano quelle le parole che avrebbe dovuto dire e che neanche le mie parole, che mi uscivano a fatica, erano quelle giuste…mi sentivo sull’orlo di un baratro e avevo la sensazione netta e atroce che delicatamente, sapientemente, mi stesse convincendo a saltare giù.

    “No…non va bene così…non saresti mai felice…”, sussurrò e le sue braccia mi strinsero in un abbraccio al quale mi abbandonai, priva di ogni forza, e mi baciò come mai mi aveva baciata .

    Sarebbe stato quello che avrei scelto, dipendeva solo da me…avrebbe potuto essere l’ultimo bacio.

     
    .
37 replies since 13/10/2010, 16:09   327 views
  Share  
.